Un estratto da <<Il ruolo dell’avvocato nel procedimento di mediazione>>
Ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 28/2010, chiunque può accedere – senza formalità particolari e senza l’assistenza di un difensore abilitato – alla procedura di mediazione di una controversia civile o commerciale avente ad oggetto diritti disponibili. La presenza di un difensore abilitato, tuttavia, quale assistente della parte in mediazione, può rivelarsi assai vantaggiosa ai fini dell’ordinato e proficuo svolgimento di tutte le fasi della procedura[1].
La fase introduttiva della procedura di mediazione e la redazione della domanda di mediazione
Al di là della preliminare e necessaria valutazione sul rischio giuridico della controversia, l’avvocato dovrà innanzitutto verificare se la nuova questione posta alla sua attenzione rientri fra le materie per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione è previsto quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale[2]. Al fine di avviare il procedimento di mediazione – sia che questo costituisca condizione di procedibilità rispetto al potenziale giudizio, sia che rappresenti il frutto di una libera determinazione da parte del cliente – occorrerà quindi scegliere, sia pur in assenza di regole legali di competenza, l’organismo dinanzi al quale proporre la relativa domanda; scelta, questa, che potrà dipendere da vari elementi, rispetto ai quali le capacità tecniche e l’esperienza di un avvocato – già maturate nell’ambito delle asperità procedurali del giudizio civile – potranno offrire un considerevole valore aggiunto.
Al riguardo, infatti, sarà necessaria non solo un’analisi comparativa del regolamento degli organismi di riferimento (in mancanza sarebbe peraltro difficile comprendere appieno tutti quegli aspetti della procedura di mediazione non disciplinati dalla legge), ma anche un’attenta valutazione sia sull’idoneità tecnica dell’organismo rispetto alla natura della controversia in essere (e, quindi, fra l’altro, la disponibilità, nelle sue liste, di mediatori che, per competenza e professionalità, risultino adeguati al compito che verrà loro assegnato) sia sui costi del procedimento di mediazione (attraverso un’analisi delle tariffe degli organismi), sia – considerazione, questa, non ultima in ordine di importanza – sulla localizzazione dello stesso[3].
Una volta identificato l’organismo di mediazione, occorrerà redigere la domanda di mediazione e fissare l’incontro. Proprio la redazione della domanda di mediazione – com’è evidente – è attività rispetto alla quale l’apporto tecnico di un giurista è in grado di fornire indubbi vantaggi. La stessa, infatti, pur distinguendosi dalla domanda giudiziale per una maggior snellezza e per l’assenza di forme particolari, deve essere in grado non solo di identificare l’oggetto della controversia, ma anche di produrre in favore della parte gli specifici effetti giuridici che la legge riserva a tale atto.
E l’assistenza di un legale appare ancor più necessaria qualora la controversia abbia ad oggetto atti soggetti a trascrizione poiché, non essendo allo stato prevista la trascrivibilità della domanda di mediazione, ove si volesse procedere con tale formalità sarebbe comunque necessario provvedere alla contestuale redazione di un atto di citazione[4], alla notifica dello stesso (con fissazione dell’udienza successiva al decorso dei quattro mesi previsti quale termine per l’esperimento della mediazione) e alla relativa trascrizione[5].
Prima di procedere alla comunicazione della domanda di mediazione alle altre parti, l’istante (ovvero il suo legale) dovrà necessariamente attendere che l’organismo di mediazione designi il mediatore e fissi la data del primo incontro tra le parti (art. 8, comma 1). Gli effetti sostanziali della domanda di mediazione – e, in particolare, quelli interruttivi o sospensivi della prescrizione e quelli impeditivi della decadenza (art. 5, comma 6) – inizieranno quindi a decorrere dal momento dall’avvenuta comunicazione[6].
La preparazione all’incontro di mediazione
Se è vero, come si dirà, che il cliente è il vero protagonista dell’incontro di mediazione (poiché questi non solo è a conoscenza delle questioni sostanziali e dei fatti storici all’origine della controversia, ma è anche l’unico titolare del potere dispositivo sui diritti soggettivi che diverranno oggetto della procedura di mediazione), durante la preparazione di tale incontro, al contrario, il legale può svolgere un ruolo di fondamentale importanza. Proprio in tale fase prodromica, infatti, l’avvocato è in grado di far meglio comprendere alla parte la natura della mediazione e la procedura applicabile, prepararla al ruolo che il mediatore andrà a rivestire, far emergere eventuali interessi specifici del proprio cliente, anche estranei alla controversia portata in mediazione, utili ai fini della conciliazione della lite ed, infine, anche alla luce di ciò, pianificare la strategia negoziale e il tipo di approccio da adottare nell’incontro. Del resto, un giurista è certamente in grado di prevedere gli ostacoli alla riuscita della mediazione e, quindi, di supportare il cliente nella individuazione del miglior risultato possibile e nella valutazione anticipata dei potenziali contenuti dell’accordo amichevole.
L’incontro di mediazione
Strutturalmente articolato in più momenti distinti, l’incontro di mediazione inizia con una sessione congiunta, che costituisce il momento in cui per la prima volta il mediatore, le parti ed, eventualmente, i rispettivi avvocati, si incontrano formalmente. In questa fase il mediatore, dopo una breve illustrazione delle regole della procedura, inviterà le parti ad esporre le proprie considerazioni sui vari aspetti oggetto della controversia. Nonostante il ruolo di primo piano che dovrà dunque essere assunto dalla parte, l’avvocato potrà comunque svolgere un’importante funzione intervenendo, ove necessario, al fine di chiarire i risvolti giuridici della controversia. La presenza, durante la sessione congiunta, di entrambi i difensori delle parti dovrebbe risultare peraltro assai utile anche ai fini della creazione e del mantenimento di un clima sereno e di un atteggiamento collaborativo in modo da mantenere la discussione tra le parti entro i limiti di un proficuo scambio di informazioni volto all’individuazione dei problemi da affrontare. Terminata la sessione congiunta, il mediatore potrà decidere di far proseguire la discussione e la negoziazione attraverso sessioni private ed individuali. Anche in questa fase, l’avvocato può utilmente affiancare il proprio cliente rassicurandolo, in particolare, sulla riservatezza – sia verso l’esterno, sia nei confronti della controparte (v. art. 9, comma 1) – delle dichiarazioni rese al mediatore nel corso delle sessioni private di modo che, essendo garantita una maggior libertà di espressione e di contenuti, la parte potrà rendersi maggiormente disponibile a riferire al mediatore qualsiasi circostanza utile ai fini della soluzione della controversia.Significativa in tale prospettiva è l’assistenza dell’avvocato, perché il legale è l’unico in possesso della preparazione tecnica necessaria a mettere in luce le debolezze e i punti di forza della strategia del proprio cliente e di quella della controparte. Nel caso di partecipazione all’incontro di mediazione, pertanto, l’avvocato non dovrà cercare di persuadere il mediatore della fondatezza delle ragioni del proprio cliente (mirando al raggiungimento del massimo risultato per quest’ultimo), ma dovrà piuttosto impegnarsi affinché le parti raggiungano una soluzione condivisa.
In relazione a tale specifico profilo si riscontra dunque una radicale differenza rispetto al ruolo che l’avvocato è chiamato a svolgere in un ordinario processo civile. Se in giudizio, infatti, il legale si dovrà preoccupare di dimostrare al giudice la fondatezza delle argomentazioni del proprio assistito (puntando al pieno accoglimento delle domande formulate), in mediazione l’avvocato dovrà invece cercare di convincere non un giudice, né il mediatore (che giudice, appunto, non è) quanto, piuttosto, la controparte e il legale che l’assiste e ciò unicamente alla ricerca del miglior risultato possibile per entrambe le parti.
L’esito della mediazione
Qualora le parti raggiungano spontaneamente l’accordo, il mediatore redigerà un apposito processo verbale al quale verrà allegato il testo dell’accordo stesso. Tale accordo – riconducibile all’autonomia negoziale delle parti e non certo all’autorità decisionale del mediatore – non potrà che essere qualificato come un vero e proprio contratto di transazione. Ebbene, tenuto conto della sua idoneità a produrre specifici effetti nella sfera giuridica delle parti, considerato che lo stesso potrebbe essere eventualmente trascritto (art. 11) e avendo riguardo altresì al valore di titolo esecutivo attribuitogli dal legislatore, appare evidente che l’accordo amichevole – soprattutto nel caso in cui il mediatore non sia un giurista – potrà essere meglio predisposto con l’ausilio degli avvocati delle parti (se non dagli avvocati stessi) e ciò al fine di assicurare che il suo contenuto ben rifletta l’effettiva volontà dei litiganti e risulti idoneo a produrre gli effetti voluti. Qualora l’accordo non venga spontaneamente raggiunto dalle parti nel corso della procedura conciliativa, il mediatore potrà decidere di esercitare il potere “creativo” attribuitogli dal legislatore: egli potrà, infatti, decidere di formulare o meno una propria proposta di accordo informando, nel contempo, le parti stesse delle conseguenze che il loro rifiuto potrebbe produrre sulle spese processuali relative ad un eventuale successivo giudizio[7]. Nel caso in cui ne facciano concorde richiesta entrambe le parti, il mediatore sarà invece obbligato a formulare una proposta conciliativa[8]. In ogni caso, il mediatore dovrà comunicare per iscritto la propria proposta alle parti e, in mancanza di risposta entro i successivi sette giorni, la stessa dovrà intendersi rifiutata. Là dove, invece, la proposta venisse accolta dovrà redigere un processo verbale che dovrà essere sottoscritto da lui stesso e dalle parti; in questo caso il mediatore potrà certificare l’autografia della sottoscrizione delle parti ovvero la loro impossibilità a sottoscrivere. Anche di fronte ad una proposta del mediatore, l’assistenza di un avvocato potrebbe rivelarsi assai utile poiché, come sopra evidenziato, un giurista saprebbe meglio indirizzare la parte sulla scelta da effettuare tenendo adeguatamente conto delle varie alternative e delle relative conseguenze giuridiche (soprattutto per ciò che concerne, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs., cit. il regime della condanna alle spese nel successivo ed eventuale giudizio). Tutto ciò senza considerare che il legale stesso potrebbe indicare al mediatore (ad esempio, nella risposta) eventuali piccoli correttivi e/o modifiche che potrebbero meglio riflettere, sul piano giuridico, gli effetti derivanti dall’eventuale accordo.
[1]Al fine di contribuire al successo della mediazione quale efficace strumento di risoluzione delle controversie, considerata l’assenza nel nostro Paese di specifici percorsi accademici e, comunque, di una grande tradizione in materia, appare tuttavia indispensabile che gli avvocati italiani esprimano oggi il massimo impegno – in adempimento, peraltro, ai loro obblighi deontologici di competenza e aggiornamento professionale – verso l’approfondimento, anche individuale, dello studio della mediazione e ciò non solo sotto il profilo procedurale, ma anche – e soprattutto – per ciò che concerne gli aspetti di tipo comunicativo-relazionale, non potendosi ritenere al riguardo sufficiente, date le peculiarità del nuovo istituto e dato il fortissimo legame della categoria forense con un’antichissima e radicata cultura del “giudizio”, la sola esperienza maturata nell’esercizio della professione.
[2] La scelta dovrebbe ricadere su una località che agevoli (e, comunque, non scoraggi) la presenza della controparte posto che, al contrario, verrebbe frustrato sin dall’inizio lo spirito conciliativo che dovrebbe caratterizzare la procedura in esame. Sulla scelta dell’organismo di mediazione v. G. de Palo, L. D’urso, R. Gabellini, Il ruolo dell’avvocato nella mediazione, Giuffrè, Milano, 2011, p. 30, F. Valerini, Il nuovo decreto ministeriale sulla mediazione tra innovazioni e correzioni di rotta, in I contratti, 12/2010, p. 1180, G. Minelli, Commento al decreto legislativo n. 28 del 2010 (art. 4) in M. Bove (a cura di), La Mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Cedam, Padova, 2011, pp. 115 e segg.
[4] L’art. 5, comma 3, d.lgs. 28/2010 prevede, infatti, unicamente che «lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso (…) la trascrizione della domanda giudiziale».
[5] A nostro avviso, il legislatore ben avrebbe potuto prevedere la trascrivibilità della domanda di mediazione (anche a costo di un leggero aggravio nel contenuto tecnico della stessa) e ciò in quanto – pur restando sempre facoltativa la possibilità di procedere alla trascrizione – tale soluzione avrebbe impedito di duplicare la formulazione della domanda attraverso un apposito atto di citazione; condivide al contrario la scelta del legislatore G. Impagniatiello, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.Judicium.it, 01/04/2011 secondo cui: «la trascrizione avrebbe imposto un più elevato rigore tecnico nella predisposizione della domanda, il che sarebbe stato ictu oculi poco coerente con un procedimento contraddistinto dall’informalità e dall’assenza dell’onere di patrocinio».