In occasione del restyling di MondoADR ripubblichiamo alcuni degli articoli più interessanti , ed ancora attualissimi, come l’intervento del Prof. Roberto Pardolesi al seminario internazionale organizzato il 15 febbraio 1999 da ADR Center e dall’ICE dal titolo “Cultura negoziale e risoluzione alternativa delle controversie commerciali – Esperienze internazionali e prospettive in Italia”.
I.- Metter mano ad un inquadramento teorico minimale della mediation senza dispiegare complessi apparati concettuali è, diciamolo con franchezza, tentativo che ha le stesse probabilità di successo della proverbiale quadratura del cerchio. Non essendomi ancora attrezzato per i miracoli, sarò costretto a risolvere brutalmente l’impasse, ritagliandomi un segmento assai minuto di quella che altrimenti s’imporrebbe come riflessione di largo respiro (e tempi adeguatamente dilatati). I difetti di un tale approccio -affidato, lo riconosco, ad un uso affatto arbitrario del rasoio di Occam-sono plateali; nondimeno, esso mi consente di limitare al minimo il tedio di chi si risolva a seguire il filo del discorso.
II.- Venendo subito al punto, è possibile ricondurre la mediation all’interno dei confini metodologici dell’analisi economica del diritto (EAL). Che questo modo di accostarsi all’argomento non sia (soltanto) un vezzo da alumnus della University of Chicago Law School è dimostrato dal fatto che la mediation è oggi sotto i riflettori della più recente ed agguerrita versione di law and economics, ovvero di quella diramazione che fa uso intensivo della teoria dei giochi. Per la verità , la mediation aveva iniziato a calcare le scene dell’EAL già qualche anno fa, con uno studio di Steven Shavell -uno fra i suoi esponenti più prestigiosi– rimasto a lungo in à mbito soltanto accademico (la pubblicazione nei circuiti allargati è di data recente: v. Alternative Dispute Resolution: An Economic Analysis, 24 J. Leg. Studies 1 (1995)). In questo contributo, Shavell concentrava l’attenzione sulla possibilità di interpretare in chiave economica i meccanismi di ADR, ovvero i metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Ma qui preme soprattutto rilevare che, in un momento storico in cui l’ADR era contemplata principalmente nelle forme a noi familiari dell’arbitrato -anche se la prassi statunitense già la declinava in più variegate applicazioni: cfr., per un riscontro non sospetto, D. R. HENSLER, A Glass Half Full, A Glass Half Empty: The Case of Alternative Dispute Resolution in Mass Personal Injury Litigation, 73 Tex. L. Rev. 1585 (1995))–, lo studio di Shavell guardava (mi si passi il bisticcio) alla più alternativa tra le tecniche alternative di composizioni delle liti, id est alla mediation. Quest’ultima, si sa, non è finalizzata ad una decisione, come accade per il dispositivo risolutorio affidato all’arbitrato, ma piuttosto ad esiti conciliativi non vincolanti, innescati e gestiti da un’iniziativa privata che fa leva, per la composizione degli interessi in conflitto, sulle capacità suggestive del mediatore.
Sulla scia di queste premesse, i più bravi della classe fra quanti governano le sofisticate formulazioni della game theory si sono cimentati in una provocatoria rilettura economicistica delle virtù espansive della mediation: alludo allo scritto, apparentemente di più fresca data, di J. G. BROWN e I. AYRES, Economic Rationales for Mediation, 80 Va. L. Rev. 323 (1994). Per farla corta, essi si sono chiesti qual è il segreto del suo successo in progressione geometrica. Ebbene, la loro risposta non potrebbe essere più lineare: la mediation produce value, crea ricchezza. L’idea è quella di ripercorrere in chiave economica, e se possibile superare, il Mnookin-pensiero, che ci ritorna l’immagine di uno strumento che si segnala per la (ma altresì s’avvita e spegne nella) sua idoneità di aiutare le parti a superare una fitta ed articolata gamma di barriere psicologiche.
III.- La letteratura ‘ortodossa’ attribuisce alla mediation il merito di approntare un fascio ragguardevole di servizi. Se ne sfogliamo le pagine, non è difficile stilarne un elenco cospicuo, ancorchè non esaustivo:
* determinare bisogni, interessi e valori di ogni parte.
* identificare i modi del contrasto.
* caucusing, partecipare ad incontri separati con ciascuna delle parti.
* shuttle diplomacy, far la spola fra l’una e l’altra trincea.
* scambiare informazioni, ma anche conservarle in modo assolutamente confidenziale.
* stabilire l’agenda dei lavori.
* suggerire approcci di volta in volta tattici o strategici, secondo le circostanze.
* esplorare opzioni.
* imporre tregue, o cooling-off terms.
La lista, già alluvionale, potrebbe continuare per un bel po’. Comunque, è opinione pressochè unanime degli addetti ai lavori che l’apporto vincente della mediation si concentri nella funzione di reality check, di richiamo alla realtà : al mediator tocca ricordare alle parti quali costi deriverebbero dal mancato conseguimento dell’intesa. Sennonchè, se fosse davvero questo il valore aggiunto dalla sua attività , riuscirebbe difficile replicare all’obiezione di chi osservi che questo compito può essere svolto con incisività non minore da un terzo neutrale, un avvocato e via dicendo. Ecco, allora, che l’EAL interviene, con la pretesa (arrogante, sì, ma anche stimolante) di spiegare la natura del fenomeno a chi lo teorizza dal suo primo apparire. Il suo proprium è il sequential caucusing, quell’andirivieni fra le parti che permette al mediatore di collazionare e, quel che più conta, redistribuire informazione. Quest’ultima notazione può apparire ai più sconcertante: i sacerdoti della materia hanno inculcato il convincimento che sussista un principio irrinunciabile di confidenzialità , forma estrema di Chinese wall che escluderebbe non solo la propalazione dell’informazione, ma sin anche il suo uso da parte del mediator. Ma la virtù della sua azione risiede giusto in ciò che si vorrebbe così esorcizzare: l’intenso lavorio diplomatico consente al mediator di controllare il flusso informativo, ovvero di eliminare, trasmettere o creare informazione, con ciò producendo ricchezza. Infatti, nell’ottica dell’EAL il controllo dell’informazione permette di fronteggiare due effetti perversi insiti nelle dinamiche transattive, ossia l’adverse selection ed il moral hazard.
IV.- Per adverse selection s’intende l’effetto che deriva dalla scelta di celare informazione precontrattuale rilevante. L’esempio tipico è di matrice assicurativa: al paracadute della sua copertura tendono ad affidarsi i soggetti che sono più marcatamente esposti al materializzarsi del rischio, col risultato di metter in fuga quelli più sicuri e di attivare un processo inarrestabile di disgregazione del pool su cui si basa il computo stocastico dell’assicuratore, determinandone il collasso economico. Più in generale, tale fenomeno tende a prodursi in qualsiasi contesto contrattuale ed è indotto da informazioni prenegoziali che le parti si tengono reciprocamente nascoste, dando luogo ad una tipica quanto insidiosa epifania del comportamento opportunistico. Ebbene, il mediator può contribuire a spianare questi attriti strategici in almeno due modi.
In primo luogo, può chiedere preventivamente alle parti un impegno vincolante a dismettere la negoziazione se e quando egli decida, sulla base delle informazioni a sua disposizione, che non v’è più spazio economico per una trattativa fruttuosa, ovvero (in termini più tecnici) che non vi sono più margini per la massimizzazione dell’utile congiunto. Per intenderci con un esempio corrivo, o quasi: il venditore avrà un reservation price, cioè un prezzo -ignoto, va da sè, al compratore– al di sotto del quale comunque non alienerebbe. Perchè si possa instaurare una trattativa ragionevolmente avviata a buon esito, occorre che il prezzo di riserva del venditore sia più basso di quello del compratore, ovvero del prezzo massimo che quest’ultimo sarebbe disposto a versare pur di procurarsi l’oggetto dei suoi desideri. In questo confronto strategico, il mediator, che sia messo nella condizione di gestire al meglio il proprio impegno mercè il conferimento del potere di sospendere le trattative, dispone di un forte strumento di deterrenza nei confronti delle tentazioni opportunistiche delle parti, accentuate e rese ancor più perverse dall’asimmetria informativa. In altri termini, se si danno ad una levantina misrepresentation del loro prezzo di riserva, le parti si espongono consapevolmente al pericolo che il mediatore chiuda la partita perchè non c’è spazio per tentare un settlement. In estrema sintesi, il tutto si risolverà in un apprezzabile incentivo ad una maggior trasparenza (incentivo che, com’è ovvio, avrà maggiori probabilità di funzionare quando il divario fra i due prezzi di riserva è ristretto).
In secondo luogo, ed in aperta sfida alle concezioni di Bob Mnookin (e Lee Ross) nel segno della confidenzialità e correttezza, il nostro mediatore può consentire alle parti di inoltrare segnali affetti da ‘rumore bianco’, o comunque censurati. L’idea sottostante è che le parti sarebbero presumibilmente indotte ad una maggiore sincerità nei suoi confronti ov’ egli potesse promettere che trasmetterà informazioni vere ma imprecise, oppure precise ma sostanzialmente false, sempre al fine di facilitare l’accordo.
V.- Ancora, il mediatore contribuisce a togliere dal giro il moral hazard. Su questo elemento destabilizzatore, che contribuisce a rendere tanto difficile la vita agli assicuratori, non c’è bisogno di spendere molte parole. Attiene a condotte post-contrattuali nascoste, di difficile monitoraggio e perciò sostanzialmente non-contractible (il termine è d’impiego corrente fra cultori dell’EAL per indicare parametri che, per essere di difficile osservazioni sia per le parti che per i terzi, non possono esser assunti al rango di elementi da cui far dipendere l’esecuzione del contratto); deriva dal fatto che, se l’assicurato dispone di copertura perfetta, verrà a mancare ogni sua spinta ad evitare comportamenti a rischio. Ebbene, il mediator può cortocircuitare tale involuzione ed aumentare il coordinamento fra le parti mercè l’invio di segnali pubblici -e qui dovrei fare una complessa esemplificazione basata sul gioco che va sotto il nome di “battaglia dei sessi”-ovvero di segnali di matrice privata, resi opportunamente noisy. La dimostrazione è troppo complessa perchè io possa sperare di ridurla a due battute. Facendo di necessità virtù, mi accontenterò di aver tirato la pietra.
VI.- Per concludere un discorso tanto sincopato da rischiare l’apoditticità , mi limiterò ad un’osservazione riassuntiva. L’EAL fornisce indicazioni suggestive, che puntano a dimostrare come la mediation non sia una sorta di parente povero dell’arbitrato. Al contrario, essa mira a sortire, e rende possibili, risultati che logica ed esperienza fanno ritenere fuori della portata di meccanismi a noi più familiari.