Prima ancora di instaurare un negoziato facilitato tra le parti, il ruolo del conciliatore consiste nel convincere entrambe a cercare una soluzione negoziata della lite. Data l’importanza di quest’operazione, essa costituisce uno degli obiettivi della fase preparatoria della conciliazione (insieme all’identificazione degli attori con poteri decisionali e alla creazione di rapporti fiduciari tra le parti e il conciliatore). Altri autori considerano invece l’opera di coinvolgimento delle parti come una fase importante ma antecedente alla conciliazione vera e propria.
Sono diverse le modalità con cui il conciliatore può attuare la sua opera di convincimento e di coinvolgimento delle parti. Per prima cosa, è necessario raccogliere la maggior quantità possibile d’informazioni relative al merito della controversia, agli interessi in gioco, ed alle possibilità delle parti di sostenere le eventuali spese processuali. Nel raccogliere tali informazioni, il conciliatore non deve necessariamente riferirsi alle fonti tradizionalmente riconosciute in ambito giudiziario, ma non può nemmeno violare i diritti sanciti dall’ordinamento giuridico, ad esempio il segreto professionale fra medico e paziente, le garanzie di riservatezza previste in ambito bancario ed in generale il diritto alla privacy delle parti.
La fase di raccolta delle informazioni da parte del conciliatore ha caratteristiche simili alla fase istruttoria di un processo, in cui le parti deducono prove inconfutabili sia a sostegno delle rispettive posizioni, sia a sfavore del proprio avversario. A differenza della fase istruttoria del processo, tuttavia, il conciliatore utilizza le informazioni raccolte sulle rispettive posizioni, soprattutto se sfavorevoli, per persuadere le parti a risolvere il caso in modo consensuale.
Ove tali informazioni risultassero favorevoli ad una parte, il conciliatore può invitare questa a non ricorrere in giudizio, adducendo il dispendio economico, di tempo o di energie che tale mezzo potrebbe comportare. In alternativa, il conciliatore può presentare la procedura di conciliazione come consona agli interessi extra-legali delle parti. Per questo, una previa analisi degli interessi e delle possibilità economiche delle parti in ambito processuale è importante nella scelta del modo in cui la conciliazione viene proposta.
Qualora la reticenza di una o di tutt’e due le parti a conciliare fosse dovuta a resistenze psicologiche di diversa natura, tra cui la paura di dimostrarsi troppo debole e la cosiddetta svalutazione reattiva – ossia la tendenza delle parti a ritenere sospetta qualsiasi proposta che provenga dall’avversario, anche se ragionevole, – il conciliatore può: 1) contattare una figura autorevole della comunità e richiederle di proporre la conciliazione, oppure 2) invitare la parte “sospetta” a confermare il proprio impegno davanti a un garante esterno la cui opinione è stimata (quali i mass media o un organismo specializzato di ADR). Una simile iniziativa, infatti, fornisce alla parte indecisa la garanzia che la controparte è incentivata a negoziare in buona fede.
Se dopo simili tentativi uno dei partecipanti rimane contrario a impegnarsi nella conciliazione, il conciliatore dovrebbe astenersi da investire altro tempo e risorse nella trattativa. È importante capire che convincere le parti non significa forzarle o coinvolgerle a tutti i costi nella conciliazione. Quando ciò accade, gli esiti sono spesso infruttuosi. Non a caso, uno dei principi fondamentali della conciliazione è quello della partecipazione volontaria alla procedura.
(Paola Bernardini)