Il governo ha proposto una revisione degli articoli da 410 a 412-quater del codice di procedura civile, con la quale si modificheranno gli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro.
In primo luogo, lo svolgimento del tentativo di conciliazione non sarà più condizione necessaria per l\’esperimento dell\’azione in giudizio, anche se rimangono fermi gli effetti di interruzione della prescrizione e di sospensione della decadenza.
Inoltre, assistiamo ad un incremento dei poteri della commissione di conciliazione, la quale sarà tenuta a convocare le parti entro 10 giorni dal deposito della memoria del convenuto. Il tentativo di conciliazione dovrà tenersi entro i successivi 30 giorni. Se il tentativo non avesse esito positivo, la commissione di conciliazione formulerà una proposta i cui termini, se non accettati, dovranno essere riportati nel verbale di mancata conciliazione.
La riforma prevede, inoltre, che le parti possono investire la commissione delle funzioni di arbitro. Avranno inoltre la facoltà di proporre la controversia in un arbitrato irrituale.
A ben vedere, però, la non obbligatorietà del tentativo di conciliazione, così come gli incrementi di potere delle commissioni, sembrano comportare adempimenti burocratici e formalità che ne scoraggiano piuttosto l’utilizzo, incrementando le questioni di fronte al giudice ordinario e, conseguentemente, creando un intasamento delle aule giudiziarie.
Quello che probabilmente andava proposto, visto il fallimento della conciliazione in materia di lavoro fin dalla sua istituzione, era l’affidamento della procedura a degli organismi specializzati in modo da favorire la riduzione del contenzioso, così come peraltro nei piani dell’attuale Ministro della Giustizia.