Inganni e bugie vengono usati di frequente durante i negoziati e le conciliazioni. Per raggiungere il miglior risultato possibile per sè o per il proprio cliente, le parti o i loro rappresentanti si lasciano andare a comportamenti che vanno dall’omissione distratta alla menzogna sfacciata, passando attraverso diversi gradi intermedi. È comprensibile che attorno al tavolo delle trattative il fenomeno sia più frequente, e questo naturalmente riguarda anche la conciliazione, che si basa fondamentalmente sullo scambio di informazioni tra le parti. Sorprendentemente il fenomeno riguarda spesso anche i conciliatori!
Una ricerca di Houch e Kunreuther (Deception in negotiation. Wharton on making decisions 2001) rivela che il 28% dei conciliatori ha mentito almeno una volta a una parte, e che virtualmente tutti i conciliatori evitano di rivelare volontariamente un possibile problema se non sono direttamente interrogati sul punto.
Come comportarsi? Verificare ogni informazione fornitaci dalla controparte avrebbe costi proibitivi in termini economici e di tempo. L’unica cosa ragionevole è cercare di riconoscere i casi nei quali ci si trova davanti a una persona non sincera.
L’Interpersonal Deception Theory (IDT), messa a punto negli anni ’80 da Buller e Burgoon, si occupa di studiare la menzogna nelle relazioni interpersonali. Coloro che mentono, mettono in atto una serie comportamenti verbali e non verbali allo scopo di persuadere il proprio interlocutore circa la veridicità delle proprie affermazioni. Contrariamente a quanto si crede, raccontare bugie è tutt’altro che semplice, e richiede elevate capacità di controllo dei propri nervi. Mentire, e soprattutto la paura di essere scoperti quando si mente, causa una buona dose di stress. La maggior parte delle persone lascia dietro di sè diversi indizi. Secondo tale teoria, chi non è sincero assume una serie di atteggiamenti visibili all’esterno e classificabili come non intenzionali (non strategici) o intenzionali (strategici).
Per quanto riguarda gli atteggiamenti non intenzionali, chi sta mentendo avrà la pupilla dilatata, distoglierà lo sguardo dal proprio interlocutore, tenderà a toccare nervosamente gli oggetti che lo circondano, a gesticolare poco, ad agitare le gambe e ad agitarsi sulla sedia, a parlare con pause frequenti e inframmezzare il discorso, tenuto con tono più alto del normale, di ‘uhm’ ‘mmm’, ‘eh’, ed altri elementi verbali non significanti. Gli atteggiamenti intenzionali più frequenti sono tenersi sul vago, rispondere alle domande dopo pause anomale, evitare le conversazioni lunghe lasciando parlare la controparte. Le persone che mentono tendono a divagare e ad infarcire i propri discorsi di termini generici o assoluti, quali ‘niente’, ‘tutto’, ‘nessuno’ ‘sempre’ ‘mai’ ‘spesso’ ‘a volte’, e ad usare pronomi al plurale piuttosto che al singolare (‘noi’ anzichè ‘io’).
Nessuno di questi segnali, presi singolarmente, può indicare con certezza che ci troviamo di fronte ad una bugia. Tuttavia, se valutati nel loro complesso, essi offrono un valido strumento per identificare i tentativi della controparte di mistificare o occultare la realtà .
Un’ultima raccomandazione: anche quando cerchiamo di applicare queste tecniche di riconoscimento è opportuno comportarsi con discrezione. Non appena chi sta mentendo o ha intenzione di mentire percepisce l’atteggiamento di sospetto del proprio interlocutore, tenderà a porre in essere istintivamente strategie di depistaggio ancora più raffinate.
Veronica Alvisi
Da Jeffrey Krivis e Mariam Zadeh, Hunting for Deception in Mediation – Winning Cases by Understanding Body Language