Oltre alla tendenza a voler “vincere il più possibile”, quello che può a volte rendere difficile un accordo negoziale tra le parti di una lite è la differenza abissale delle reciproche aspettative, che alcuni psicologi attribuiscono alla tendenza ad interpretare le informazioni riguardanti il proprio ruolo in modo eccessivamente favorevole. Supponiamo, ad esempio, che il danneggiato creda di ottenere 700.000 Euro vincendo una causa in tribunale, mentre la difesa pensi di perderne al massimo solo 100.000. Questo significa che, in fase negoziale, i rispettivi punti di resistenza, le cosiddette bottom lines (ossia le condizioni minime di accettazione di un accordo, le quali dipendono in larga misura dalle aspettative più o meno ottimistiche delle parti di vincere in tribunale) saranno molto divergenti, e potrebbero inficiare la possibilità di raggiungere un compromesso.
Per questi motivi, una procedura di ADR spesse volte di successo è quella che mette al centro la valutazione realistica della lite, ossia una previsione accurata del probabile esito di quella vertenza di fronte ad un giudice o ad un collegio arbitrale. Nella cosiddetta “conciliazione valutativa”, al conciliatore è richiesto, una volta esaminati i fatti oggetto della lite ed ascoltate le parti, di offrire una valutazione – mai vincolante – sul probabile esito della controversia in sede contenziosa. Questa previsione, in pratica, opera come un incentivo, una spinta negoziale a chè qualcuno faccia una certa mossa o riveda il proprio punto di resistenza.
Nell’ambito di una procedura di conciliazione valutativa il conciliatore esperto può ricorrere, in ultima istanza, ad una tecnica definita bottom line negotiation, con cui alle parti viene richiesto di provare ad indovinare, o scommettere, quale sarà il verdetto dell’arbitro o del giudice, se la controversia dovesse essere risolta in via contenziosa e di accettare, sempre in tal caso, di pagare una “penalità “. Negli USA, ad esempio, ove la regola generale circa il carico delle spese di giudizio non segue il principio della soccombenza, potrebbe proprio trattarsi della previsione contrattuale di pagare le spese giudiziarie della parte la cui “scommessa” si avvicina di più alla somma contenuta nella sentenza o nel lodo.
Il meccanismo in questione fa leva sull’esagerata fiducia delle parti di essere dalla parte della ragione e sulla loro volontà di ottenere il maggior guadagno possibile (la sentenza favorevole più il valore scommesso), ossia sugli stessi elementi che, come abbiamo sottolineato, possono rendere difficile il raggiungimento di un accordo.
Va da sè che questa strategia non è di norma indicata nel contesto di un negoziato intrinsecamente cooperativo (si pensi al funzionamento di una join-venture), e che non deve essere utilizzata prematuramente nel processo negoziale. Inoltre, la bottom line negotiation va distinta dal meccanismo dell’ “arbitrato baseball notturno”, ove non prevale la decisione dell’arbitro, ma solo la proposta della parte che più si avvicina ad essa, indipendentemente dal grado di ragionevolezza che le appartiene.
(Paola Bernardini)