L’istituto della mediazione civile è stato introdotto nel nostro ordinamento in tempi relativamente recenti ed ha avuto per ora un’applicazione pratica che possiamo ancora definire ristretta. Anche in vista dell’ampliamento del ricorso alle procedure ADR che si verificherà a seguito della riforma introdotta dal D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, può essere utile tracciare una panoramica delle problematiche sorte in Paesi – segnatamente, quelli anglofoni – in cui la risoluzione alternativa delle controversie è tradizione ben più consolidata. Ebbene, uno dei quesiti che si è posto ed ancora si pone in quelle realtà riguarda se il mediatore sia o meno competente a redigere l’accordo raggiunto dalle parti in sede di mediazione. Il quesito sorge dall’osservazione della realtà. Nella maggior parte dei casi, infatti, le parti, quando raggiungono un accordo, vorrebbero formalizzarlo ed andarsene nel più breve tempo possibile. Spesso, tuttavia, esse non hanno le competenze legali e redazionali necessarie e, anche quando le hanno, raramente portano con sé una bozza di contratto. Al contempo, esse non hanno, per lo più, la benché minima intenzione di fermarsi per il tempo necessario a mettere nero su bianco l’accordo raggiunto in una forma giuridicamente accettabile. A questo punto capita che, le parti scelgano di stringersi la mano, andarsene e rimandare ad un successivo incontro tra loro la stesura di un documento contenente quanto concordato in sede di mediazione. Il rischio di tale comportamento è, però, più che evidente, poiché l’accordo non può essere considerato vincolante fino a quando non ne sia fissato il contenuto in maniera sufficientemente circostanziata. Ne consegue che, comportandosi come sopra, ciascuna parte si assume il rischio di un ripensamento da parte dell’altra. Non è infrequente che, rendendosi conto di ciò, le parti chiedano al mediatore di effettuare egli stesso la materiale stesura dell’accordo da esse raggiunto.
Oltre Oceano capita addirittura che il mediatore si presenti in mediazione già con una bozza di accordo in cui i punti in discussione vengono inizialmente lasciati in bianco per poi essere riempiti quando su di essi si sia raggiunto il consenso delle parti. La compilazione del modulo richiederà, a quel punto, solo pochi minuti e gli interessati potranno andarsene dalla stanza della mediazione in tempi relativamente brevi. Questa prassi, però, pone almeno due problemi: il primo, con riferimento alla natura del procedimento di conciliazione/mediazione e l’altro in relazione al rispetto dei ruoli a ciascuno assegnati all’interno di esso.
Per quanto riguarda la natura del procedimento di mediazione, non è del tutto peregrino ricordare che esso ammette la ricerca di soluzioni creative, basate su una logica di attualità degli interessi perseguiti e sulla filosofia dell’expand the pie anziché su quella del share the pie. Ciò è tanto più vero quanto più complesse sono le vicende per le quali si è addivenuti ad una lite. Se in una mediazione relativa, per esempio, ad un disservizio di una compagnia telefonica nei confronti di un utente è altamente probabile, pur se non necessario, che l’accordo si risolva con il mero riconoscimento al consumatore di una somma di denaro, in rapporti più complessi e caratterizzati da una minore disparità di potere contrattuale tra le parti le cose possono andare in maniera molto diversa. Si pensi a due imprese, l’una fornitrice dell’altra. Se l’impresa ha diritto alla fornitura non riceve la merce, o la riceve in ritardo, o ne riceve di qualità o in quantità differenti rispetto a quella pattuita o attesa e, magari, per ragioni contingenti non è più interessata a ricevere l’esatto adempimento della prestazione originariamente dedotta in contratto può darsi che le due riescano ad addivenire ad accordi differenti rispetto al mero risarcimento per equivalente, quali per esempio la previsione di sponsorizzazioni dell’una sui prodotti dell’altra, la fornitura di prodotti diversi, o anche solo ulteriori, rispetto a quelli inizialmente concordati, magari a prezzo agevolato… In contesti del genere, pensare che il mediatore possa preconfezionare una bozza di accordo è utopico e pericoloso al contempo. Utopico perché difficilmente egli potrà, per quanto esperto, prefigurarsi lo scenario concreto che assumerà il nuovo assetto di interessi stabilito dalle parti prima del termine del procedimento. Pericoloso perché egli potrebbe farsi condizionare dalla sua propria bozza, trascurando di esplorare con le parti scenari di accordo alternativi e per esse potenzialmente più soddisfacenti.
Sotto il profilo dei ruoli, invece, la predisposizione di una bozza rischia di far trascendere il mediatore dai limiti che la procedura gli impone. E’ ben vero che, in Italia, i mediatori, per potersi iscrivere ad un organismo di mediazione devono avere, oltre ad una formazione specifica in materia di ADR, un background professionale per il quale si presume che essi siano perfettamente in grado di redigere un accordo. D’altro canto, se pur la capacità di verbalizzazione della volontà delle parti non è in discussione – e non contrasta certo, come pure è stato ipotizzato, con la terzietà del mediatore: si pensi al ruolo che, nell’ordinamento italiano, ha il notaio – la redazione di un buon contratto richiede qualcosa di più di una semplice attività di segreteria. In primis, essa richiede la scelta delle clausole accessorie che, caso per caso, è opportuno o meno inserire all’interno del singolo accordo. E, certo, l’inserimento di tali clausole accessorie, come pure il semplice suggerimento di inserirle, non rientra tra i compiti del mediatore e travalica i limiti che il suo ruolo gli impone.
In altri casi, il mediatore non predispone alcuna bozza, ma viene comunque richiesto dalle parti di mettere nero su bianco i punti sui quali esse hanno trovato un accordo. Con ciò, a parere di chi scrive, si ovvia al primo problema, ma non al secondo.
Di avviso parzialmente diverso è la Commissione dell’Ordine degli Avvocati statunitense che si occupa di risoluzione delle controversie e che ha recentemente espresso sul punto un parere di natura deontologica (SODR – 2010 – 1 della ABA Section of Dispute Resolution Committee on Mediator Ethical Guidance) sul quale può essere interessante soffermarsi brevemente. In un parere della Commissione si afferma che la verbalizzazione dell’accordo da parte di un mediatore dotato di specifica competenza legale è senz’altro possibile, nella misura in cui tale attività non si scontri con i regolamenti in materia di mediazione secondo i quali le parti devono essere libere di autodeterminarsi nel raggiungimento di un accordo ed il mediatore deve rimanere imparziale. Il punto focale del problema, secondo la Commissione, è capire se la redazione dell’accordo di conciliazione possa rientrare nella nozione di conciliazione/mediazione (o, più precisamente, tra i compiti del mediatore). A tale proposito, la Commissione ha notato che, benché manchino, sul punto, indicazioni espresse all’interno dei Model Standards che regolano la mediazione negli Stati Uniti, il ruolo del mediatore è quello di “facilitare la comunicazione, la negoziazione e l’assunzione di decisioni consapevoli tra le parti” e ne desume che la riduzione in forma scritta dell’accordo raggiunto possa essere ricompreso tra le attività di facilitazione e che, di conseguenza, il mediatore professionalmente competente possa compiere tale attività tanto nel caso in cui si limiti a verbalizzare la volontà delle parti, quanto nel caso in cui fornisca informazioni legali alle parti (senza però, come si è visto, poter sfociare nella consulenza).
Le argomentazioni del parere in oggetto sono molto interessanti: resta il fatto, però, che, nella pratica, il confine tra fornire informazioni legali e dare pareri legali non appare così netto come a livello concettuale.
La quadratura del cerchio, probabilmente, non esiste. L’ideale sarebbe che le parti, almeno nei casi in cui non siano in grado di redigere da sole un documento legale, si facessero accompagnare in mediazione dai propri legali, ai quali potrebbero demandare la stesura degli accordi da essi raggiunti. Questo, però, comporterebbe un aumento delle spese di parte e un appesantimento del procedimento. L’imposizione di tali maggiori costi a chi acceda a procedure di risoluzione alternativa delle controversie può apparire inopportuna soprattutto se, come sembra, si vuole che l’ADR sia estesa anche e, forse, soprattutto ai portatori di interessi minuti, al fine di offrire loro migliore tutela e, contemporaneamente, di deflazionare le aule di Tribunale. Tale imposizione, infatti, comporterebbe uno sbilanciamento del rapporto costi/benefici che potrebbe indurre le parti a rinunciare ad ogni tentativo di risarcimento degli interessi che esse assumono lesi.
Il discorso è ampio e meriterebbe una presa di coscienza ed una riflessione approfondite non operabili in questa sede. Probabilmente, sarebbe opportuno offrire soluzioni a livello quanto meno di regolamento interno degli organismi di mediazione, se non addirittura legislativo, magari differenziando le possibili prassi a seconda del valore della controversia: qui ci si è limitati a fornire qualche spunto nella speranza di poter contribuire alla precoce formazione di una coscienza critica sul problema.